Ricordando Pietro Tresso, per un fronte unico di lotta, per una Vicenza dei lavoratori

Nonostante la classe dominante ha fatto in modo che i lavoratori di Vicenza dimenticassero la loro storia, il movimento operaio vicentino ha una lunga tradizione di lotta e Vicenza e la sua provincia ha dato i natali a compagne e compagni che hanno lottato coraggiosamente contro le ingiustizie del capitalismo e contro il fascismo.

Il 2013 è l’anno in cui si celebrano i 120 dalla nascita e i 70 anni dalla morte del grande rivoluzionario trotskista Pietro Tresso (nome di battaglia Blasco) nato il 30 gennaio 1893 a Magrè di Schio, in provincia di Vicenza e assassinato nel 1943 da agenti stalinisti in Francia durante la Resistenza al Nazifascismo. Pietro Tresso fu amico e compagno di lotta di Antonio Gramsci, con cui fondò il Partito Comunista d’Italia, fu in prima fila nell’opposizione trotskista allo stalinismo negli anni trenta e fondatore della Quarta Internazionale di Trotsky nel 1938. Fu un militante rivoluzionario coerente e coraggioso. I giovani rivoluzionari d’oggi, guardando alla sua vita, possono trovare l’esempio di una vita dedicata alla causa, antidoto al cinismo e alla disillusione odierna che investe la politica e le sue organizzazioni.

Il PdAC pone all’attenzione dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati. degli studenti, dei pensionati poveri, la necessità di ricostruire una coscienza di classe e di ricordare le coraggiose battaglie dei compagni e delle compagne che ci hanno preceduto. Al contempo è urgente la costruzione di una piattaforma in grado di unificare in un fronte unico di lotta i lavoratori delle industrie e dei servizi, del commercio e del pubblico impiego, i disoccupati e i lavoratori precari, i lavoratori italiani e immigrati. Una piattaforma contro i programmi di austerità e le politiche che scaricano la crisi del capitalismo sulla classe operaia. È necessario che si inneschi un movimento di lotta che veda anche Vicenza protagonista, per una vertenza generale contro il governo e il padronato, con un programma che a partire da rivendicazioni transitorie (la nazionalizzazione sotto controllo operaio delle aziende che chiudono o delocalizzano; la ripubblicizzazione sotto controllo degli utenti e dei lavoratori dei servizi sociali ed essenziali, della scuola e della sanità; il blocco della cementificazione di nuove aree, la bonifica e la conversione in verde pubblico dei siti abbandonati e/o contaminati; la chiusura e la conversione ad uso civile delle basi militari, …) ponga la necessità, ad ogni livello politico e quindi anche a quello comunale, di un altro governo: un governo dei lavoratori.

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Anche a Vicenza No Tav

Comune, Provincia, Confindustria, Confartigianato e Confcommercio hanno promosso e presentato lo scorso anno uno studio di fattibilità che vorrebbe portare la costruzione della nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità nella città di Vicenza.

Nei piani di RFI La linea AV-AC (alta velocità per passeggeri-alta capacità per merci) doveva bypassare Vicenza a sud dei Berici senza alcuna fermata in città, invece la cricca politico-imprenditoriale vicentina si ostina da anni a volere una stazione in città e per questo ha presentato questo progetto sostenuto ovviamente anche dal sindaco Variati. Il progetto in questione prevede la costruzione ex novo di una stazione ferroviaria in zona Fiera, da qui il Treno ad Alta Velocità dovrebbe scendere e proseguire in una galleria lunga 8 km risalendo in superficie nei pressi di Settecà, una galleria che attraverserà tutta la città in direzione ovest-est. Inoltre si prevede un parziale interramento degli attuali binari nella zona dei Ferrovieri.

Il tutto per la modica cifra di 700 milioni, questo è il costo stimato. Soldi che andranno in mano a lobby del cemento che riusciranno a far lievitare brutalmente i costi. Questo è già successo per le costruzioni di altre linee AV nel nostro paese, due esempi: la linea Bologna-Firenze è costata 6,5 volte in più rispetto al preventivo iniziale, la Torino-Milano 4 volte in più.

Sappiamo bene che oggi questo è solo un progetto campato in aria, ma tante volte questi progetti possono prendere forma nella maniera più subdola. Solo il fatto che amministratori e imprenditori si sono messi insieme per lanciare e volere questo progetto ci fa capire che c’è una reale intenzione a sperperare denaro per opere inutili e dannose per il territorio. Il tunnel di 8 km, che prevede l’interramento dell’attuale linea, creerà sicuramente un impatto devastante in città. Cantieri che andrebbero a costruire un’opera inutile per la stragrande maggioranza dei cittadini che non potranno permettersi un biglietto per l’Alta Velocità che sarà riservata ai soliti ricchi.

Il Partito di Alternativa Comunista respinge questo progetto che prevede la costruzione di una ferrovia riservata a un’ élite quando ci sono ogni giorno treni regionali soppressi, passaggi a livello guasti, stazioni prive di biglietterie, treni sporchi e sovraffollati. E’ necessario rilanciare il trasporto pubblico locale e potenziare la rete ferroviaria regionale che utilizzano ogni giorno migliaia di studenti e lavoratori pendolari. Proprio gli studenti e i lavoratori sono i primi ad essere vessati dallo sperpero di denaro pubblico funzionale alla costruzione del TAV, ogni anno devono far fronte al continuo aumento di biglietti e abbonamenti: oggi un biglietto Vicenza-Padova costa “solo” 3,55 € contro 2,90 € del 2010, a breve ci aspetta l’ennesimo rincaro. Ma la lotta al TAV non dev’essere circoscritta ad una questione meramente locale. Il TAV è un problema di tutta la società. È un problema in Valsusa perché deturperebbe un territorio per realizzare un’opera inutile e dannosa per tutto e tutti, se non per gli interessi finanziari ed industriali nascosti dietro la retorica del progresso. Il TAV è un problema in tutto il Paese perché ha sfigurato territori e imposto un monopolio del treno ad alta velocità che obbliga praticamente chiunque a viaggiare in Freccia Rossa poiché sulle tratte dove il TAV è presente non esistono alternative umanamente praticabili, fra treni in condizioni di manutenzione pietose ed a passo di lumaca. È questo, quindi, un monopolio che determina un innalzamento dei prezzi e la cancellazione di molti treni “normali” che potrebbero essere accessibili a tutti/e. Ma si badi bene: non si può imputare il Tav ad una semplice mala gestione del territorio o alle malefiche lobby. La colpa è del sistema economico! Non esiste né potrà mai esistere domani un capitalismo «buono» distinto da quello «cattivo» di oggi che distrugge l’ambiente. Da marxisti non siamo contro il progresso, ma deve essere chiaro che il Tav non è un progresso per la società, ma solo una maggiore fonte di profitto per gli sfruttatori. Sono altre le opere che servono al progresso. Confindustria, Variati &co. non la pensano così. E allora noi riprendiamo il motto dei valsusini: per tutti questi signori “a sara düra”. No al Tav: né a Vicenza, né in Valsusa né altrove ! No alle grandi opere funzionali solo agli interessi di pochi investitori plurimiliardari!

 

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Contro la guerra e le servitù militari

La lotta per la chiusura e la conversione ad uso civile delle basi militari vede impegnati a livello internazionale tutte le compagni e i compagni delle organizzazioni aderenti alla Lit-CI (Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta internazionale). E’ stato quindi assolutamente naturale per il Partito di Alternativa Comunista (sezione italiana della Lit-CI) offrire il proprio contributo, attraverso il lavoro di analisi e militanza dei propri compagni e compagne presenti nel territorio vicentino, nella lotta contro il progetto di una nuova base militare USA nell’area dell’aeroporto Dal Molin e nella creazione di comitati di lotta che hanno chiesto la conversione ad usi civili della caserma Ederle e di tutti i siti ad essa collegati. Il Partito di Alternativa Comunista ha sostenuto le iniziative del movimento vicentino contro la guerra e in modo particolare l’importante lavoro svolto dal “Comitato degli abitanti e dei lavoratori di Vicenza est – Contro la costruzione di una nuova base a Vicenza – Per la conversione della caserma Ederle ad usi civili “– con l’ appoggio alle campagne a favore della diserzione dei soldati Usa. L’impegno a livello locale del partito è inserito nella battaglia più generale contro la guerra imperialista e coloniale e contro le politiche di guerra dei governi, siano essi di centrodestra e di centrosinistra.

Abbiamo contestato e continuiamo a contestare la complicità di tutti coloro i quali hanno preso parte, più o meno attivamente, alla  svendita della lotta contro il Dal Molin accontentandosi di aver strappato, dopo anni di battaglie, un semplice  pezzo di terra adiacente alla base che qualcuno ha avuto il coraggio di chiamare Parco della Pace,  opera di compensazione che è stata voluta fortemente dal sindaco di Vicenza Achille Variati. Nel 2010 annunciò sulla stampa con grande enfasi e soddisfazione che, dopo il viale della Pace (situato di fronte alla base militare Usa Ederle) e il villaggio della Pace (area residenziale dei militari Usa) il governo nazionale concedeva l’area inutilizzata proprio affianco alla nuova enorme base, per poi istituirvi anche il Parco della Pace. E certamente non furono molte le voci allora fuori dal coro. I dirigenti che gestiscono il Presidio non hanno mai respinto il Parco della Pace in quanto compensazione, anzi.

Oggi il terreno affianco al Del Din giace lì abbandonato, gli effetti ambientali della costruzione della base sulla falda acquifera si notano su quella che oggi possiamo definire ironicamente “palude della pace”. Certamente è un terreno che va risistemato a spese degli Usa e successivamente va trasformato in parco ma va ricordato che affianco è situato un imponente avamposto militare statunitense, il che rende bizzarro nominare quel prato “parco della pace”. Va detto che non è la prima volta che i sostenitori attivi delle guerre e delle basi militari usano il termine “pace” per perpetrare ingiustizie enormi e per giustificare massacri e devastazioni. Accade continuamente e fa parte di una strategia di controllo e disinformazione ben studiata.

Inoltre rivendichiamo il fatto che il Partito di Alternativa Comunista fu l’unica organizzazione politica che si rifiutò di appoggiare il referendum sul Dal Molin. Quel referendum ebbe l’effetto contrario a quello che i promotori dicevano di voler ottenere: seppure migliaia di cittadini si dichiararono contrari alla base, il voto non poteva avere alcun valore legale e, qualora l’avesse avuto,  sappiamo bene che gli Usa e il Governo italiano non l’avrebbero preso minimamente in considerazione. Basta vedere come è finito il referendum sul controllo e la gestione dei servizi pubblici essenziali del 2011 (ancora oggi la percentuale in bolletta per i profitti garantiti, ovvero la speculazione sull’acqua e il servizio idrico, non è stata abolita).

L’unico modo per impedire la costruzione della nuova base militare era la mobilitazione ad oltranza, senza scendere a patto con l’istituzione, senza accettare compromessi né compensazioni. Bisognava prendere esempio dalla Valsusa che da vent’anni si mobilita contro la costruzione del Tav.
Tuttavia il danno è fatto e non possiamo certamente rimanere in silenzio. Per non incappare più in questi errori bisogna ripartire dalla lotta contro le servitù militari e contro le guerre imperialiste collegandole ad un più ampio programma di lotta che sappia coinvolgere i settori più colpiti dalla crisi del capitalismo. Crediamo sia necessario, e quindi possibile, continuare tenacemente l’attività contro la guerra, contro le basi e a favore della diserzione. Però pensiamo che sia necessario farlo in modo completo, legando la battaglia contro la guerra a quella per la difesa del lavoro e dei diritti sociali. Legandola alla lotta contro la crisi economica provocata dai pochi ai danni di molti. Questa battaglia deve avere il coraggio di affrontare il grande responsabile dell’esistenza di basi, guerre, disoccupazione e fame. Questo responsabile ha un nome: capitalismo. Tentare di riformarlo dandogli un “volto umano” è un’illusione.

A differenza degli altri, noi pensiamo che questo sistema non possa essere riformato, ma solo rovesciato con le lotte che devono partire dalle piazze, dalle scuole e dai luoghi di lavoro. La soluzione alle tragiche catastrofi che il capitalismo genera sta in un sistema realmente e radicalmente alternativo, un sistema sociale ed economico basato sul socialismo.

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Per una cultura realmente alla portata di tutti

Negli ultimi anni si è creato un nuovo flusso di turisti a Vicenza che va certamente sviluppato, il settore del turismo è potenzialmente in grado di dare molti posti di lavoro, soprattutto nel nostro Paese ricco di beni artistici e culturali che oggi non sono valorizzati. Tuttavia la stragrande maggioranza dei lavoratori ha poco tempo e soprattutto pochi soldi per potersi permettere cinema, teatro, concerti, ecc… Cultura e turismo sono legati tra loro e sono due ambiti sempre più rivolti solo a chi ha denaro.

Alternativa Comunista vuole consegnare la cultura e le bellezze della città di Vicenza a tutti. È necessario quindi abbattere i profitti e ridistribuire la ricchezza per una città in cui ci si possa muovere con i mezzi pubblici gratuiti ed efficienti, in cui musei, biblioteche e teatri siano gratuiti perlomeno a giovani, precari e disoccupati. La nostra idea per la Basilica Palladiana, come per le biblioteche e i teatri è che vengano gestiti direttamente dai lavoratori e dagli utenti affinché vi sia una proposta artistica condivisa e vi sia un’elaborazione d’iniziative collettiva, non un imposizione calata dall’alto e usufruibile solo dalla classe più ricca di questa città.

È necessario che la cultura non sia appannaggio di pochi ricchi e intellettuali, ma che sia patrimonio di tutti. Se l’avanguardia politica è lo strumento per il rovesciamento del sistema attuale, l’avanguardia artistica deve preparare culturalmente il terreno attaccando i pilastri ideologici su cui si regge l’egemonia borghese. Spazio, quindi, all’arte anche come strumento rivoluzionario, come incontro fra le diverse culture, per dare voce alle istanze sociali, per un’ arte rivoluzionaria dove “tutto è permesso”.

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Spazi sociali per i giovani

Nella città di Vicenza c’è una cronica mancanza di spazi di aggregazione giovanile nonostante sia pieno di edifici che potrebbero ospitare svariate attività. Purtroppo questi luoghi sono abbandonati da anni e sono quindi diventati fonte di degrado. Basta pensare a fabbricati dismessi come l’ex caserma Borghesi a borgo Casale, l’ex Macello in piazza Matteotti, l’ex Cinema Arlecchino dietro i Giardini Salvi solo per citarne alcuni. Tutte costruzioni di proprietà pubblica che non vengono utilizzate in alcun modo da parecchi anni. Non mancano edifici privati in totale abbandono come l’ex Enel a S. Pio X o come l’ex Cinema Corso in corso Fogazzaro. È inaccettabile che tali infrastrutture siano lasciate all’abbandono quando i giovani possono solo incontrarsi nei bar o nei locali a pagamento.

Mentre la città è piena di immobili che potrebbero benissimo essere ristrutturati e convertiti per scopi d’utilità sociale, non c’è abbastanza spazio per gli studenti nella biblioteca, mancano sale di studio, mancano sale cinema e teatri popolari, mancano altri luoghi di cultura e di svago per i ragazzi. Mancano perfino delle semplici sale per tenere delle riunioni e quando si trovano hanno costi eccessivi per le tasche degli studenti o dei giovani lavoratori.

È gravissimo che molti spazi vengano lasciati a se stessi nell’incuria più totale in quanto “mancano soldi”, soldi che ci sono sempre per progetti che ingrassano i privati e gli amici degli amici. La giunta Variati ha speso tante parole per i giovani ma poi ha finito per spendere 350 mila € per progetti securitari come il posizionamento delle telecamere in ogni angolo della città. Sappiamo che non basterebbero quei soldi per la ristrutturazione ma questo è indice di come è orientata questa Giunta che nei fatti ha dimostrato di non discostarsi dalle politiche della precedente amministrazione di centro-destra.

È tipico del sistema capitalista non dare priorità ai giovani in quanto un sistema che deve continuare a crescere per il profitto di pochi privati non ha il tempo e nemmeno lo scopo di valorizzare la gioventù né di investire su di loro ed il loro futuro. Il Partito di Alternativa Comunista intende rompere questo meccanismo e sviluppare nuovi spazi da autogestire. È necessario trovare da subito nuove strutture per ampliare gli spazi della Biblioteca Civica. È doveroso riaprire spazi centrali in città come l’ex Cinema Arlecchino per farne un polo culturale giovanile dove possano avere luogo mostre, proiezioni e quant’altro. Vogliamo anche un’immediata ristrutturazione dello stabile dell’ex Macello con un progetto condiviso dai giovani della città in modo che possano auto organizzare le future attività da svolgervi. Bisogna ugualmente ristrutturare l’ex caserma Borghesi per creare nuove residenze universitarie e una mensa in grado di accogliere gli studenti della città.

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Per un trasporto pubblico e gratuito

In questi anni di Giunta Variati non abbiamo assistito ad un miglioramento del servizio pubblico, anzi se da una parte sono stati messi in circolazione nuovi autobus ecologici, dall’altra abbiamo assistito alla soppressione di alcune corse tant’è che diversi autisti di Aim sono stati reimpiegati come agenti controllori dei titoli di viaggio e della sosta. Inoltre, per quanto riguarda gli autobus serali, il servizio è stato appaltato a privati che oggi gestiscono le corse serali in città e – come sempre avviene quando si appalta ai privati – il costo del servizio è stato aumentato portando il costo del biglietto a 2€ anziché 1,20 €.

Vicenza è una città inquinata. L’uso dell’auto privata deve essere ridotto al minimo. Il nostro programma prevede il potenziamento delle piste ciclabili, trasporti pubblici gratuiti a ciclo continuo. La gestione dei trasporti deve essere sotto il diretto controllo dei lavoratori ed utenti. Va eliminata ogni tipo di privatizzazione, a partire dall’appalto privato per le corse serali. Ma naturalmente non basta, come non basta mezzo chilometro di corsia preferenziale per incentivare l’utilizzo del bus. Trasporto pubblico gratuito vuol dire anche meno inquinamento, più sicurezza nelle strade, meno stress e più posti di lavoro. Questo tipo di progetto può funzionare solo se accompagnato da un programma ben pensato di incentivi e miglioramenti delle modalità di trasporto non motorizzato ma non solo. Sono necessari incentivi consistenti su progetti come il Park and Ride (parcheggi di interscambio forniti di servizio noleggio biciclette) e il carsharing (una sorta di autonoleggio comunale, un servizio che permette di utilizzare un’automobile su prenotazione, prelevandola e riportandola in uno dei tanti parcheggi che vanno adibiti al servizio).

Solo così potrà migliorare la salubrità dell’aria in città e quindi il benessere delle persone.

Infine Alternativa Comunista prevede l’unificazione delle aziende locali Aim ed Ftv: questo comporterà un miglioramento generalizzato del servizio pubblico urbano ed extraurbano portando beneficio agli utenti, allo stesso tempo è indispensabile salvaguardare tutti i posti di lavoro che, anzi, devono essere aumentati.

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Per un’Aim sotto controllo di lavoratori e utenti

Il sindaco Variati e l’amministratore unico Aim Colla hanno affermato che “Aim può navigare nel libero mercato portando beneficio e ricchezza alla città”. Questo significa mettere in discussione la gestione pubblica diretta di acqua, gas, energia, igiene ambientale, trasporti; saranno le gare d’appalto a decidere quali società, a quali costi e a quale qualità saranno erogati i servizi alle famiglie. Questo attacco si collega alla trattativa su Aim Trasporti con un accordo che ha portato al taglio degli stipendi degli autisti, cosa comunque che non ha evitato l’appalto delle corse serali Aim ad un privato. I risultati di questa operazione saranno quelli di elargire enormi profitti ai privati e al contempo mettere a rischio centinaia di posti di lavoro e, inoltre, ad averne un danno saranno la qualità dei servizi e il prezzo delle tariffe che aumenterà ulteriormente.

La giunta Variati e l’amministratore Colla stanno dimostrando ancora una volta (come successe con il referendum contro la base militare) che i referendum sono buoni solo a tutelare la pace sociale e ad abbassare il conflitto, e, quando non c’è conflitto sociale, il risultato delle urne può essere tranquillamente stracciato. Basti ricordare che il referendum “vittorioso” del giugno 2011 sui servizi pubblici (in particolare l’acqua) è stato sconfessato da amministrazioni e governi regionali oltre che essere occultato negli ultimi decreti sulle liberalizzazioni del governo Monti. Infatti ancora oggi la percentuale in bolletta per i profitti garantiti, ovvero la speculazione sull’acqua e il servizio idrico, non è stata abolita; anzi, la tariffa, ricalcolata dall’Autorità per l’Energia, ha semplicemente nascosto sotto un’altra definizione quello stesso meccanismo.

Come dimostra questa esperienza, i risultati referendari per essere vincenti e duraturi devono essere accompagnati da una mobilitazione che non si placa con le promesse. Affinché i referendum vincenti siano rispettati, i lavoratori devono riempire le piazze e costringere le organizzazioni sindacali complici della privatizzazione a recedere dalle loro posizioni liberiste. Proprio nella vicenda Aim è grande la responsabilità dei sindacati: la Cgil locale in questa circostanza ha acconsentito, con Cisl e Uil, l’ingresso nel libero mercato incassando persino i complimenti e il plauso dell’azienda. Il 24 aprile scorso, però, gli stessi lavoratori di Aim, riuniti in assemblea, hanno respinto l’accordo siglato dalle burocrazie sindacali di Cgil, Cisl, Uil con l’Amministrazione comunale di Vicenza! È questa la strada giusta: devono essere i lavoratori a riprendersi la parola!

Nella vicenda Aim è inutile chiedere a chi rappresenta i poteri forti di questa città di fare gli interessi dei lavoratori, degli utenti e delle famiglie.

La società per essere rilanciata va messa sotto il controllo serrato di lavoratori e utenti. Questi sono gli unici che sono in grado di comprendere direttamente sul campo quali sono le falle di un’azienda che lavora in molteplici settori in cui i dirigenti, nella maggior parte dei casi, sono tutt’altro che competenti.

È necessario organizzarsi affinché sia portato all’ordine del giorno la necessità che a Vicenza, come nel resto del Paese, sia organizzata una mobilitazione generale che respinga le privatizzazioni, l’attacchi ai salari e ai diritti, una mobilitazione che respinga i contratti di solidarietà, la mobilità, la cassa integrazione. Una lotta che veda uniti i lavoratori di Aim e di tutti gli altri settori colpiti da tagli e privatizzazioni, le loro famiglie, gli utenti dei servizi, gli attivisti che generosamente si sono impegnati nella raccolta di firme per il referendum e che hanno visto il loro generoso impegno sconfessato anche dai politici che hanno usato tale battaglia solo per la loro propaganda.

 

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Per la difesa dei diritti delle donne, contro la privatizzazione dei servizi scolastici

In Europa, dopo un secolo di lotte per i diritti e l’emancipazione, le donne sono costrette a scendere in piazza ancora per difendere quanto si riteneva acquisito almeno sul piano della parità formale.

Tagli di bilancio e privatizzazioni, o “esternalizzazioni” dei servizi pubblici, sono ormai tra le parole d’ordine acquisite nei piani d’austerità dei governi europei: in Italia riguardano il settore della scuola, della sanità, del pubblico impiego e tutti i servizi connessi agli enti pubblici.

Tanto più queste misure s’impongono, tanto più pesantemente regrediscono le condizioni sociali delle fasce più deboli, soprattutto delle donne. Se, infatti, la crisi economica globale nel primo periodo ha colpito settori di attività prevalentemente “maschili” (industria, trasporti, automobile, ecc.) oggi coinvolge quei settori direttamente o indirettamente legati ad una maggiore presenza femminile: istruzione, sanità, cura di bambini e anziani.

Le politiche di risparmio degli enti pubblici colpiscono più direttamente le donne poiché esse costituiscono in Italia, come nel resto d’Europa, i 2/3 degli organici. Salari bloccati o ridotti, contratti e condizioni di lavoro precari o a tempo parziale, perdita del posto di lavoro per il blocco delle assunzioni, allungamento dell’età pensionabile, sono condizioni che rendono le donne più vulnerabili nel mercato del lavoro e più oppresse dalla crisi.

L’Amministrazione Variati si è adeguata alla politica dei tagli. Mentre le scuole d’infanzia e gli asili nido comunali boccheggiano e il personale è ridotto all’osso, con supplenze che arrivano con il contagocce e con l’uso delle insegnanti di sostegno per tappare i buchi, l’amministrazione Variati ha aumentato il contributo alle scuole d’infanzia paritarie (aderenti alla Fism – Federazione Italiana Scuole Materne) sia nel 2008 sia nel 2009 per arrivare ad un contributo di ben 497 mila euro nel 2012. Nel frattempo i genitori delle scuole d’infanzia comunali si autotassano per l’acquisto di materiale didattico affinché le maestre possano essere in grado di svolgere un minimo di attività e l’Assessore Alessandra Moretti, ora diventata parlamentare, ha rivendicato tale finanziamento sottolineando che non si tratta solo di un semplice contributo economico ma di una collaborazione attiva con le scuole private, e ha parlato di “vantaggio sociale”. È una scelta e un’affermazione che dimostra come l’ Amministrazione, mentre chiede sacrifici ai genitori e lavoratori degli asili nidi e delle scuole d’infanzia comunali , elargisce soldi e collaborazione ai privati. La riprova delle reali scelte di questa Amministrazione sta nel fatto che, ad esempio, da quest’estate ha privatizzato il servizio “estate nido” dandolo in gestione ad una cooperativa, altro esempio è il convinto appoggio alla nascita dei “nidi famiglia”, asili nidi privati, spesso condominiali, dove, dietro al nome accattivante, si cela la realtà di un servizio improvvisato nel quale qualsiasi persona può aprire un nido nella propria abitazione: è sufficiente che frequenti un corso che va dalle 50 alle 100 ore. Ricordiamoci che gli asili nido sono servizi rivolti a bambini di età compresa fra i 3 mesi e i 3 anni. Altro che sicurezza! È necessario ritornare ad occupare le strade e le piazze e riportare prepotentemente nell’agenda delle organizzazioni sindacali e politiche il tema della sicurezza (non quella demagogica fatta di blitz e telecamere dell’Assessore Dalla Pozza) ma la sicurezza dei servizi, della salute e dell’istruzione per i lavoratori, i loro figli e le loro famiglie. Basta finanziamenti alle scuole private!

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Per il diritto alla casa

Il Partito di Alternativa Comunista si batte perché sia garantito il diritto alla casa per tutti, italiani e immigrati, per questo sostiene i comitati di lotta per la casa.

Per molti lavoratori dopo il licenziamento c’è l’impossibilità di continuare a pagare l’affitto o il mutuo e così arriva lo sfratto: la perdita dell’abitazione è diventata una drammatica realtà per molte famiglie. È altissima la percentuale di sfratti per morosità: sono 229 sul totale di 238 sfratti nel 2011. Attualmente ad essere più colpite sono le famiglie di immigrati ma il dramma si sta allargando anche ai nativi.

A fronte di questo, in città sono 7.011 gli alloggi sfitti. Il dato, rilevato nel 2010 dall’Osservatorio sulla casa del Comune, se messo in confronto con quello del 2004 evidenzia una vertiginosa crescita: all’epoca erano “solo” 2.620 gli alloggi chiusi. Insomma le case ci sono, non serve costruirne altre come invece ha deliberato la giunta Variati.

Il PdAC, proprio per contrastare la speculazione edilizia e immobiliare, ritiene necessario sostenere un vasto programma di edilizia popolare che non deve aggiungere altro cemento a quello già esistente ma recuperare le case sfitte che devono essere assegnate alle famiglie indigenti per garantire un diritto inalienabile dei lavoratori: il diritto alla casa.

Gli immobili pubblici che oggi sono sfitti vanno immediatamente assegnati ai senza tetto e alle famiglie impoverite dalla crisi economica, senza richiedere alcun canone d’affitto. Per quanto riguarda gli appartamenti privati, quando si tratta di proprietà facenti capo a grandi gruppi immobiliari, questi vanno espropriati e assegnati anch’essi a famiglie in difficoltà. I luoghi da ristrutturare così come quelli abbandonati (come l’ex caserma della Guardia di Finanza in contrà Mure della Rocchetta) possono essere ristrutturati per ospitare case popolari senza aggiungere ulteriore cemento.

Vanno inoltre aumentati i contributi sugli affitti poiché in questi ultimi anni, Stato e Regione hanno tagliato i fondi a fronte di un aumento delle richieste: siamo passati dai 945.874 € erogati nel 2009 ai 707.863 € del 2011.

Per quanto riguarda la gestione del patrimonio comunale i lavoratori e gli utenti devono poter praticare una vera autogestione ed un controllo reale per la salvaguardia e la valorizzazione delle abitazioni comunali, al di fuori e contro qualsiasi gestione nepotista del patrimonio pubblico.

Inoltre il PdAC sostiene l’abolizione dell’Imu sulla prima e unica casa, mentre ne rivendica l’applicazione progressiva, sotto il controllo dei lavoratori, sulla grande proprietà industriale, immobiliare, commerciale, nonché sulle medesime attività degli enti religiosi.

 

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Basta cementificazione, né oggi né domani

L’urbanistica di questa amministrazione si è dipinta il volto di verde ma dentro è grigia cemento. A fronte di 7 mila appartamenti sfitti, il Piano Interventi porta a Vicenza ben 652 mila m3 di cemento in più e 130 mila m2 di Sau (superficie agricola utilizzata) in meno. Viene così smentita clamorosamente dai fatti la promessa del Variati 2008 di una “città più verde”.

Per capire nel dettaglio dove sono previste queste nuove abitazioni, basta sfogliare la relazione programmatica del Piano Interventi. Il grosso si prevede nelle aree di Saviabona e Laghetto. Seguono la prima periferia di San Pio, le frazioni di Bertesina e Bertesinella. Ma si costruirà anche in tante altre zone della città: Casale, Settecà, Maddalene, Monte Crocetta, più qualche m3 sparso in altre zone.

Basta fare due conti per capire come quelle nuove costruzioni (in gran parte abitazioni) rimarranno pressoché vuote. Quei 652 mila m3 sono sufficienti per 4.353 nuovi abitanti teorici nei prossimi 5 anni. Ma negli ultimi 10 anni la popolazione della città è cresciuta di circa 5.500 unità, e negli ultimi 5 di circa 1.500, un terzo di quello prefigurato dal Pi. Bisogna tornare ai primi anni 2000 per trovare un balzo in avanti di oltre 4mila abitanti, all’epoca la crescita demografica era trainata dal boom migratorio (i residenti stranieri sono passati da 6.300 nel 2000 a 19.100 nel 2011), se non che perfino gli immigrati in tempi di crisi hanno rallentato il passo. Il dato di fatto è che Vicenza ha, oggi, più o meno gli stessi abitanti che aveva nel 1971.

Oggi il settore dell’edilizia è in forte decadenza perché si trova anch’esso in crisi di sovrapproduzione, basta vedere l’enorme quantità di locali vuoti in città, siano essi adibiti ad appartamenti o ad uso commerciale-direzionale. Noncurante di ciò, la Giunta di centrosinistra ha approvato colate di cemento che devasteranno in maniera irreversibile il territorio. Gli unici ad arricchirsi con queste nuove costruzioni saranno i giganti dell’edilizia privata, coloro i quali non si sono mai posti il problema dell’effettiva utilità dei loro fabbricati, ciò che importa per loro è che giri l’economia del mattone.

La proposta di Alternativa Comunista è in controtendenza rispetto alle proposte che nascono e muoiono nel calderone elettorale: diciamo basta alla cementificazione in ogni luogo della città e in ogni superficie agricola. I terreni coltivati devono rimanere tali. Oggi è necessario promuovere un grande piano di ristrutturazione dei vecchi fabbricati per renderli nuovamente agibili, anche in un ottica di risparmio energetico. Solo questo potrà ridare lavoro ai tanti operai del settore edile che sono rimasti disoccupati, un lavoro che non sarà complice della deturpazione del territorio. Le risorse vanno trovate nella tassazione dei grandi patrimoni immobiliari privati. Nel frattempo appoggiamo tutti i comitati che si opporranno all’ulteriore cementificazione della città. Ma sappiamo bene che questa inversione di rotta non si potrà ottenere con le elezioni, l’unico modo per raggiungere questo obiettivo è la mobilitazione ad oltranza della popolazione che non può e non deve piegarsi alle logiche di cementificazione e devastazione ambientale che producono solo profitto per i ricchi proprietari. Per essere vincente, la mobilitazione non dovrà accettare nessun compromesso né compensazione.

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